venerdì 31 ottobre 2008

io che non sono palestinese

Ramallah, giovedì sera
Birra, sigaretta.
Io, 25 anni, italiana, studentessa di Medicina, in Palestina per fare la tesi.
Imad, 25 anni, palestinese, studente lavoratore, in Palestina perchè rifugiato da Jaffa (dal 1948 Stato di Israele).

"Dai adesso bombardano la Siria, tempo due mesi arrivano al Libano e poi diretti in Palestina...fucked!!"
"Vale, guardami in faccia e dimmi che non pensi che la Palestina è già fucked??"

Sono stata zitta....

Da quando sono qui due sentimenti fanno campo minato nei miei pensieri...
Uno è la rabbia, viscerale, distruttiva, irrazionale, violenta...qualcosa che ti fa stringere i denti e serrare i pugni, una grande bomba per poter ricominciare, diverso da così, non così...
L'altro è l'impotenza, silenziosa, triste, soraggiata, rabbiosa...qualcosa che ti blocca nello stupore e nell'assurdità di quello che continui a vedere, a cogliere, a sentire...
Sono così profondamente concatenati che mi scopro a passare tra queste due sponde senza rendermene conto...

Con troppo poco stupore mi sono ritrovata a giustificare -forse appoggiare- una resistenza violenta...violenta...
Mi rendo conto dell'inutilità collettiva di un gesto definito "terroristico", ma se penso alla disperazione individuale una morte così forse non libera da quel senso di impotenza?una morte così forse non libera da quel senso di rabbia?una morte così forse non libera dalla costante umiliazione personale e di popolo??

Forse no...ma non riesco a dirlo io, io che me ne posso andare quando voglio, io che posso rifugiarmi su un aereo se lanciano bombe, io che sono transitoria, io che non sono palestinese..

giovedì 30 ottobre 2008

Re-imparare a Resistere

Bisogna re-imparare a RESISTERE...è un dovere, una necessità...
Re-imparare significa anche trovare nuovi modi...
Italia che resiste, Palestina che resiste??




"Dev'esserci, lo sento, in terra in cielo o un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto..."


[Guccini F.]



lunedì 27 ottobre 2008

Conferenza sotto assedio

Perchè?
Avete paura di far vedere al mondo quanto siete selvaggi, incivili, antidemocratici?
Vi dà fastidio ammettere lo sterminio di vita che state facendo??



Conferenza a Gaza, persone da ogni parte del mondo...
Autorità Isreliane negano l'entrata a tutti i partecipanti e naturalmente l'uscita ai relatori di Gaza...
Tutti terroristi questi medici di Gaza.......
West Bank accoglie: si ripiega su Ramallah.

TRA I PONTI E IL MURO IL MURO VUOLE VINCERE
LA PALESTINA RESISTE!!

End the siege- uno scatto contro l'assedio



UNO SCATTO CONTRO L’ASSEDIO

DIAMO UN VOLTO AL DISSENSO. PER LA FINE DELL’ASSEDIO DELLA STRISCIA DI GAZA


Invitiamo donne e uomini a farsi fotografare e fotografarsi mostrando il cartello “STOP ALL’ASSEDIO DI GAZA”. Chiediamo di farlo in ogni occasione pubblica, nelle piazze, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, ma anche nel privato, in famiglia, tra gli amici, da soli con un autoscatto.

Scattiamo una foto per esprimere il nostro dissenso contro l’isolamento e l’oppressione della popolazione civile palestinese della Striscia di Gaza, contro l’assedio dell’esercito israeliano, contro il silenzio della comunità internazionale. Vi invitiamo a partecipare attivamente producendo cartelli, coinvolgendo chiunque a prestare il proprio volto per sensibilizzare l’opinione pubblica e le agenzie politiche nazionali ed internazionali.

“UNO SCATTO CONTRO L’ASSEDIO” è una campagna che si unisce con determinazione al movimento internazionale End the Siege (www.end-gaza- siege.ps ), per non rimanere in silenzio, immobili, impotenti di fronte alla brutale punizione collettiva che sta subendo la popolazione civile della Striscia di Gaza.

INVIAMO LE FOTO A: scattocontroassedio @gmail.com. Le immagini raccolte saranno l’evidente testimonianza della nostra solidarietà a Gaza, della mobilitazione permanente nei confronti dei governi, del nostro impegno, determinazione e creatività.
La raccolta delle foto sarà esposta in ogni evento pubblico della campagna e inviata alle organizzazioni palestinesi che animano la campagna End the Siege.

domenica 26 ottobre 2008

Palestina Madre



Palestina Madre
madre troppo giovane
che non sa che cos'è una madre
ha il desiderio, non ne ha le forze

Palestina Madre
vecchia e giovane
che tutti i giorni lava gli stracci dei figli sporchi di terra e sangue

Palestina con grandi seni
incapace di allattare
forse non ha latte,
forse i piccoli non riescono a succhiare

Palestina di carne
da toccare, da stringere,
che sa addormentare
che sa cullare nell'ovatta dura

Palestina incatenata
incantenata a sè stessa

venerdì 24 ottobre 2008

Bellezza coperta


La bellezza non ha causa: esiste.
Inseguila e sparisce.
Non inseguirla e rimane.
Sai afferrare le crespe
del prato, quando il vento
vi avvolge le sue dita?

Iddio provvederà
perché non ti riesca.

[Emily Dickinson]

Moralista e bigotta per un giorno, forse più donna...

Stanca dell'ostentato proporre di una bellezza falsata...immagino un giro per le viettine di Bologna:

All stars, frangetta, maglietta a righe, jeans che ti attoricigliano il culo...tante figurine della Panini con volti di ragazzine...
Pantaloni corti, calze a rete un pò rotte, anche qui frangetta, piercing sul lato sinistro del naso, matita nera calcata come un pennarello per riproporre occhiaie da donna appena violentata, un pò stanca della vita, che vive in una solitudine un pò bohemienne...
Camicetta a righe azzurrine infilata accuratamente dentro i jeans fighi, capelli che ci hai messo tre ore e 40 a tirare con la piastra che ti liscia tutto tranne che la vita, orecchini di perla e collanina abbinata, borsina di Gucci e reggiseni compatti e duri come diamanti...
Gonna lunga e colorata, orecchini provenienti dalla regione più a nord ovest del Benin, cannottiera di filo di garza fatta a mano dalle donne non sfruttate cinesi, borsina peruviana...mappamondi che camminano.

L'abito fa il suo monaco e lo descrive bene.
Quando però l'abito fa tutto forse c'è qualcosa che non va...

Velo, capelli coperti, volti coperti, sguardi coperti.
Donna sottomessa, non emancipata, vittima della sua tradizione, vittima di una religiosità incomprensibile.
Questo mi è stato detto.

Basta una cannottiera, i capelli sciolti e il culo all'aria per fare emancipata una donna??
La risposta sembra ovvia (NO se non fosse così ovvio!!). Eppure non è così o almeno non lo è stato per me in queste prime settimane davanti ai volti coperti di queste donne palestinesi...sono arrivata qui pernsando di essere una donna "culturalmente aperta", una donna multiculturale e invece di transculturale non ho neanche un neurone.
Solo vittima consapevole ancora di più inconsapevole del mio stare in una dato luogo e in un dato spazio con certe caratteristiche sociali e culturali date...
Ho avuto la nausea di fronte a tanto ostentato coprire, ho rigettato tradizioni che hanno secoli, ho negato caratteristiche politiche che determinano comportamenti sociali...in pratica sono stata capace di vedere solo quell'ovvietà della superficialità.

Eppure questo velo mi si sta naturalizzando..alla vista...
Comincio a cogliere dei perchè...concatenati, splenditi, orribili, maschilisti, femministi, politici, identitari, rivendicanti, escludenti, emancipanti....

Coperta perchè brutta, coperta perchè troppo bella, coperta perchè lo scegli, coperta perchè lo dice il padre, coperta perchè lo dice il marito, coperta perchè lo sceglie la madre, coperta per essere meno occidentale, coperta per essere particolare, coperta per essere più uguale, coperta perchè va di moda, coperta perchè ho la scarpa dello stesso colore del velo, coperta perchè incazzata, coperta per sè stessa, coperta per lui, coperta per Dio, coperta per trovare una patria, coperta per mostrarsi, coperta perchè definisce, coperta perchè sono mia, coperta perchè ha un'identità, coperta perchè ha il freddo, coperta perchè fa freddo, coperta per rifiuto, coperta per accettazione, coperta perchè donna, donna perchè coperta.

C'è una Bellezza nel velo, c'è anche una Bellezza...c'è non solo Bellezza.

Tra sacro e profano

Mi lavo le mani...è ora della "colazione" di metà mattina...
Qualunque cosa tu stia facendo ti metti in time-out...è ora di hummus, pane caldo, falafel, olio, origano, pomodori e acqua (se va bene se no 7UP).
Ognuno porta qualcosa da casa.

Penso alle mie "merende" negli angolini buii dei corridoi dell'università, proprio lì dove mettono macchinette straripanti di ogni puttanata.
Penso alla solitudine di circostanza che creano i tarallucci a 40 centesimi di euro appena usciti dalla bocca metallica.
Penso a me, studentessa bolognese, che nel cambio del prof (nelle mie ormai rare frequentazioni di lezione) corro con fretta verso l'aggeggio per evitare svenimenti pomeridiani.
Penso allo specializzando che, ancora più velocemente si accaparra il posto in prima fila al distributore del the e del caffè per sorseggiare in 23 secondi (con ustione annessa) la bevanda e poi ritornare con ancora più schizofrenia temporale al suo posticino.

Riflessioni nate seduta ad un tavolo organizzato in 2 minuti nel giardinetto dei posti di salute (parlerò di questi spazi più avanti).
Davanti a me la "colazione delle 11" e medici, infermiere e segratarie.
Si usano solo le mani, il piatto è unico.
Si spezza il pane, lo stesso pane lo si divide tra tutti.
Lo si intinge nell'hummus, lo stesso piatto di hummus lo si divide tra tutti
Niente galatei nati da una mente così "vicina" alla mia"...Vecchi e nuovi colonialismi descriverebbero la scenetta come vero atto selvaggio, fuori dal senso comune, dall'igiene, perfino da quello che è umano.
Eppure questo mi dà un senso di "umanità" diverso.
Incoscientemente, implicitamente c'è un senso di silenziosa condivisione...è cibo ma è molto di più.

Mi viene in mente le prime pagine di un libro di un teologo della liberazione (non mi viene proprio ora!!) che spiega il termine "compañero", "con-pane", condivisione del pane. Parla del cristanesimo-cattolico-occidentale che grida e incita al diventare "compagni di Cristo" e lui si chiede come si possa essere compagni se prima non si condivide il pane, se prima non si ha il pane da condividere. Il Papa ci ha appena detto che i soldi non sono niente. Si, giustamente il pane lo compri con tanto LOVE LOVE LOVE...e poi anche se non c'è il pane, che importa, tanto c'è Cristo...
Mi continuo a domandare come si è riusciti a far credere questa stronzata a milioni di persone. Forse questo Cristo libera, libera più di tante altre cose...ma la liberazione la devi sentire, la devi vivere e mi chiedo come ci si possa sentre liberi se non hai il pane, se non hai i soldi per il pane...

Torno al mio hummus e ci rileggo un'umanità profana (anche se bardata nelle tradizioni) che condivide.
Condivide e mangia quanto ce n'è, finchè ce n'è per riprendersi un pò di vita e un pò di normalità.

HUMMUS

Ingredienti:
Ceci lessati 250 g
Spicchi d'aglio 2
Tahina 2 cucchiai
Limone 1
Prezzemolo 1 mazzetto
Peperoncino e/o paprika 1 / pizzico
Olio di oliva 2 cucchiai
Sale

Preparazione:

Mettere nel frullatore i ceci, la tahina, il succo di limone, gli spicchi d'aglio pestato e il sale; se necessario aggiungere dell'acqua; frullare a bassa velocità per 30 secondi fino ad ottenere un composto omogeneo abbastanza denso.


FALAFEL

Ingredienti:
Ceci 400 g
Cipolla tritata 1
Prezzemolo 1 mazzo tritato
Spicchi d'aglio 2
Cumino 2 cucchiaini
Coriandolo macinato 1 cucchiaino
Olio per friggere
Pepe Un pizzico
Sale

Preparazione:

Scolare e togliere le bucce ai ceci dopo averli lasciati in ammollo per 24 ore. Trasferire nel frullatore i ceci, la cipolla, l'aglio, il prezzemolo, il coriandolo (semi) macinato, il cumino, un pizzico di pepe e il sale; frullare per 20 secondi fino ad ottenere un impasto fine ed omogeneo.
Lasciare riposare in frigo per 1 ora. Con il composto formare quindi, delle polpette medie e dorarle nell'olio bollente, girandole dolcemente, per 4 minuti circa. Quando le polpette sono ben colorite toglietele e asciugatele con la carta assorbente.



(Non contenta metto le ricette...
Non sono fatti come li fanno qui, ma in italiano è difficile trovare il reale)

...un'umanità profana che condivide e mangia quanto ce n'è, finchè ce n'è per riprendersi un pò di vita e un pò di normalità.

lunedì 20 ottobre 2008

Suono Di Bombe

Non sapevo dell'esistenza delle sound bombs.
In realtà non so niente neanche delle bombe "convenzionali".
In realtà non so niente neanche di armi e munizioni.
In realtà non so niente di come si fa una guerra...forse come si fa una guerra si, come la si vive un pò meno.

Beh, recente acquisizione nel mio prontuario esperienziale è stata la sound bomb.
Un buon benvenuto fresco e pronto firmato Isreale, proprio il primo giorno a Ramallah.

Scoppio di una bomba in faccia a un attivista al muro. Una bomba????? Mi aspettavo di trovare braccia squarciate, visi mutilati, urla e tragedia come nella miglior riproposizione di Guernica.
In ospedale c'era invece un clima di ordinaria compostezza e il casino più grosso lo facevamo noi, in mezzo alle palle, a guardare senza troppe parole la scenetta.
Questo ho sentito: di essere uno spettatore a teatro, in uno di quegli spettacoli ermetici, surreali, di difficile comprensione. Mi sono sentita fuori posto.

Viso gonfio, camicia intrisa di sangue...mi chiedo se una bomba causa questo, chiedo se una bomba fa questo.

L'uomo stava lì su una barella, tartassato di domande da medici e giornalisti...Lo guardo,mi chiedo perchè accetta di essere circondato da estranei interessati alla sua situazione e non a Ahed, lui.
Forse "RESISTERE" vuol dire questo: ricordarsi del te stesso e contemporaneamente dissolverlo in qualcosa di più grande, un qualcosa che comprende anche te. Resistere, forse, è continuare..
Ed è per queto che mi sembra che il suo corpo perda identità: diventa per un istante UN corpo politico, che parla di politica, che mi dice ciò che sta accadendo.

L'uomo è un attivista al muro, uno politicante, non un ribelle americano dell'ultima ora; uno che probabilmente sa come dire, cosa dire e quando dire le cose; uno che stava al muro in una dimostrazione pacifica; uno che stava lì soltanto per parlare, per denunciare con le parole.
Ma a Ni'lin (il villaggio della manifestazione) la parola è fin troppo pericolosa e così un soldato decide di imporre il time-out.

Cos'è una sound bomb? Mi sono informata ma non è che ci abbia capito molto. Di sicuro ho capito che queste bombe non lacerano la pelle. In una logica di sterminio celato (non troppo bene) è un soluzione geniale, perchè non lascia tracce visibili ed esplicitamente accertabili, non lascia segni da utilizzare poi come strumento per la compassione collettiva.
In pratica sono delle bombe che riproducono in tutto e per tutto il suono dell'esplosione di una bomba o di un attacco missilistico senza che però avvenga l'esplosione.
A seconda della potenza del suono e degli ultrasuoni (ho sempre avuto difficoltà con la fisica della propagazione del suono quindi spero di non scrivere cazzate!!) le conseguenze sono diverse:


Il dottor H., medico a Gaza intervistato da Alessandro Bernardini aggiunge altre informazioni: "Gli aerei israeliani volano a bassa quota infrangendo la barriera del suono. In quel momento è come se un terremoto entrasse nella tua casa, spaccando i vetri, e tutto quello che c’è dentro. Lo spostamento d’aria e la bomba sonora causano dei danni spesso permanenti. Dall’estate del 2005 ad oggi sono aumentati del 40% gli aborti e del 45% gli infarti".
Il suono non porta solo il dolore del corpo, ma "è una sorta di tortura. Tu non sai mai se quello che senti è un bombardamento vero o se è “solo” sonoro. Non sai dove andare, non sai a cosa aggrapparti. Non sai dove rifugiarti. E poi quando arrivano anche le bombe vere e allora devi sono sperare che cadano un pò più in là".

Ripenso ad Ahed a cui io non ho nenanche chiesto il nome.